Dal punto di vista etnobotanico, è interessante notare come, ad esempio, un taccuino di vita monastica in cui sono evidenziati tratti di cultura culinaria pugliese, e nello specifico salentina, proveniente dal monastero delle benedettine di San Giovanni Evangelista di Lecce, risalente al 1133, riporta numerose ricette, preparazioni e ingredienti, e tra questi vengono citate voci pugliesi e salentine, quali cocuzzelli, miloni.

Tra le pietanze, troviamo ad esempio per il ‘pranzo dell’Abbadessa, la prima domenica di Carnevale’, “melone, uva, mela e tagliata’.
Il ‘Primo Giovedì’, cocuzelli con la ricotta fresca. È indicata anche la preparazione: ‘per farli ci vole rotola 10 di farina, 16 di ricotta, ova un po’ a rotolo, e miele; se ne danno per cadauna otto e diece a quelle di più, e poi alle Giovani due sorti di carne’.

La ricetta ricorda vagamente quella di un Prodotto Agroalimentare Tradizionale Pugliese, le dita degli apostoli (o cannelloni dolci di Carnevale, oi a nuvola, oi a nnèula, oi a nèmula, oi ncannulati), che hanno la forma di un piccolo cannolo farcito, ottenuto arrotolando piccole frittatine. Anche in questo caso la farcitura è composta da ricotta fresca dolcificata e aromatizzata. Hanno un delicato colore giallo paglierino tendente al bianco, poiché la superficie viene ricoperta di zucchero a velo. Si producono tutto l’anno, e in particolare in primavera, in corrispondenza del Carnevale, e a Pasqua.

Non c’è traccia di Cucurbitaceae, ma la citazione è ugualmente notevole in quanto per cocuzzelli si intende ‘paste dolci a forma di zucchine, dette in dialetto salentino cocuzzelle’.
Quando ero bambina, mio nonno non diceva ‘testa’ o ‘capo’, bensì cucuzza, per intendere la testa; e anche le zucchine avevano lo stesso appellativo, soprattutto quando non erano state viste sotto le foglie e venivano raccolte in ritardo, come diceva ‘erano andate a seme’ e non erano più buone per essere mangiate in quanto più fibrose, con la buccia più dura, i semi più grandi.

In realtà, nonna sapeva sempre fare di necessità virtù, e le tagliava a tocchetti e le metteva sott’olio (laddove le zucchine meno cresciute erano tagliate a rondelle) con la nepetella; o le essiccava a fette ‘per il lungo’, rigorosamente al sole, ma mai diretto per non ‘bruciarle’; o ancora le metteva a bagno in acqua e aceto per ammorbidirle, le faceva scolare pressandole in uno scolapasta - come faremmo con le melanzane -, e poi le passava nell’uovo e nel pangrattato misto a formaggio di vacca stagionato, quello che non si riusciva a grattugiare per quanto era duro, così non serviva il sale, e le friggeva in olio bollente con un rametto di rosmarino. Calde erano deliziose, ma lo sarebbero state ancor più la mattina dopo, tra due fette di pane di Laterza, in riva al mare.

Del resto, dal punto di vista etimologico, il vocabolo cocúzza è sincope di cocurbituzza, diminutivo del latino cucurbita che, come si è visto, significa zucca (da cui deriva anche il francese antico cosse). È una voce napoletana e romana, e evidentemente anche pugliese, per ‘zucca’, usata anche in modo scherzoso per ‘testa’.
In italiano si usa anche il termine cocúzzolo e cocúzzo, che per alcuni deriva per l’appunto da cocuzza nel senso di ‘testa’. Per altri, invece, derivererebbe dal latino cucutium, specie di veste con cappuccio, simile al cucullus, per cui sarebbe cucuzzo nel senso di ‘cappuccio a punta’, e per estensione il punto di mezzo più alto della testa, intorno al quale si ‘rigirano’ i capelli, e quindi, più genericamente, ‘sommità’ che abbia una caratteristica ‘acuta’, come un campanile, un monte, e simili.

Del resto, esiste anche lo zucchetto, piccola calotta rotonda indossata dai dignitari della Chiesa cattolica, usato dal 1853, da zucchetta, ‘un berretto’, in origine diminutivo di zucca inteso come testa, forse dal latino tardo cucutia.
E lo zuccotto, di tradizione fiorentina, un dolce semifreddo a forma di calotta, fatto di uno strato esterno di pasta Margherita e di un ripieno a base di panna, piccoli pezzetti di canditi e cioccolato, così chiamato proprio per la forma simile a una testa con cappello ‘zucchetto’.

Cucurbita deriva dal latino cucurbita, e si ritrova come cocurbita in rumeno e courge in francese, antico francese gougourde da cui il tedesco kürbiss. In sanscrito era c’arbata, c’inbhita e indicava il cetriolo, affine al latino cúrvus, ‘curvo’, e sembra raddoppiamento del radicale carb, corb, che ha il senso di ‘piegarsi in giro’, che si ritrova poi in còrbis, ‘corba’, nel gotico hvairban, nell’anglo-sassone hveorfan, ‘piegarsi’, nell’antico alto tedesco wirbil (per hvirbil), tedesco moderno wirbel; norreno hvirfill, ‘aggiramento’, tedesco wölben e anticamente welben (per hvelben), ‘incarcare’; con metatesi nel lituano kraip, krip, ‘piegare’, e con mutamento di r in l nel greco kàlpis, ‘vaso; urna’ e kòlpos, ‘seno; curvatura’.

E infatti la zucca ha una pianta che si curva e si avvinghia intorno alle altre piante, e produce frutti rotondi; per similitudine con la forma del frutto, sorta di vaso che ha forma di zucca.

Va anche ricordato il cucurbitale, cucurbitario o cucurbitino, un verme che si trova negli intestini degli animali e, quando si tira fuori, ha forma di seme di zucca (tœnia cucumerina).

In inglese moderno abbiamo gourd, entrato nella lingua nel 1300 circa, dall’anglo-francese gourde, dal francese antico coorde, dal latino cucurbita, di origine incerta, forse da una lingua non indoeuropea e imparentato con cucumis, ‘cetriolo’. Essiccata e scavata, la buccia era usata dagli Anglo-Sassoni come paletta o mestolo.
In inglese c’è anche calabash, ‘zucca secca e scavata usata come bicchiere per bere’; vocabolo entrato nella lingua nel 1650 come callebass, dallo spagnolo calabaza, forse dall’arabo qar’a yabisa, ‘zucca secca’, dal persiano kharabuz, termine usato per indicare varie specie di meloni grandi; o da un *calapaccia, iberico pre-romano. Lo stesso termine, a indicare il ‘frutto dell’albero di zucca’, da cui venivano ricavate le coppe, è usato dal 1590.È curioso che gli anglofoni utilizzino zucchini, che è entrato molto tardi: nel 1915, nei libri di cucina inglesi, e nel 1910 nei libri di viaggio sull’Italia, come parola italiana, e definita come ‘un tipo strano di piccola zucca, molto tenera e piacevole al palato’; naturalmente dall’italiano, plurale di zucchino, al maschile, diminutivo di zucca, dal latino cucutia, di origine incerta.

Melon è entrato in inglese nel tardo XIV secolo come meloun, pianta annuale erbacea, succulenta e rampicante, a indicare anche i suoi frutti eduli dolci, dal francese antico melon (XIII secolo), e direttamente dal latino medioevale melonem (nominativo melo), dal latino melopeponem, un tipo di zucca, dal greco mēlopepon, ‘mela-zucca’, termine dato a diverse specie di zucca che donano frutti dolci; da mēlon, ‘mela’ + pepon, un tipo di zucca, che è probabilmente un uso nominativo dell’aggettivo pepon, ‘maturo’.

Tra le primissime piante a essere addomesticate, in greco melon era utilizzato in modo generico per tutti i frutti ‘stranieri’: la stessa cosa è avvenuta, nella storia delle lingue, per il termine che indica la mela. Addirittura, in inglese medio, ancora nel tardo XVII secolo, il termine per ‘mela’ era il generico per indicare tutti i frutti tranne le bacche, e includeva anche la frutta secca (in anglo-sassone, i datteri erano fingeræppla, letteralmente ‘mele a forma di dito’; o la banana era in inglese medio appel of paradis, 1400 circa). E proprio da qui deriva il ‘frutto dell’albero proibito’, a cui non viene dato il nome nel Genesi.

I cetrioli, in un’opera anglo-sassone, sono chiamati eorþæppla, letteralmente ‘mele di terra’; che però in francese sono le patate, pomme de terre.
In greco, il plurale di melon era usato, in tempi antichi, per indicare i seni di una ragazza.

Ancora, in inglese c’è anche squash, che indica una zucca frutto di alcune specie rampicanti, termine entrato nella lingua nel 1640, un prestito abbreviato dal termine in lingua Narraganset (della tribù algonchina) askutasquash, letteralmente ‘le cose che possono essere mangiate crude’, da askut, ‘verde; crudo’ + asquash, ‘mangiato’, in cui -ash è un affisso plurale (come in succotash, da una parola sempre in algonchino del New England meridionale, misckquatash, ‘chicchi di mais interi bolliti’).

Lo squash-bug (1807) si nutre delle foglie di questa pianta di zucca.
Nel mondo delle Cucurbitaceae c’è anche la maraca, una zucca usata come sonaglio o strumento da percussione

latino-americano; termine entrato nelle lingue intorno al 1813 tramite il portoghese da un nativo brasiliano.

E, naturalmente, in inglese c’è pumpkin, entrato nella lingua intorno al 1640, indicando ‘un frutto simile alla zucca, di color giallo arancio carico quando maturo, che pende da una pianta rampicante grossolana, originaria dell’America settentrionale’. È alterazione di pompone, pumpion, ‘melone; zucca’ (1540), dal francese pompon, dal latino peponem (nominativo pepo), ‘melone’; dal greco pepon, ‘melone’.

La parola greca in origine probabilmente indicava ‘maturo’, con la nozione di ‘cotto (dal sole)’, da peptein, ‘cuocere’ (dalla radice proto-indoeuropea *pekw, ‘cuocere; maturare’).
In senso figurato, nel XIX secolo (e successivamente), nello slang americano, ha significato sia ‘persona stupida e presuntuosa’ che ‘persona o questione importante’ (come alcune zucche enormi, appariscenti).
Da qui, pumpkin-head, colloquiale sempre nello slang americano per ‘persona con i capelli tagliati corti tutt’intorno’, registrato nel 1781, da cui deriva l’ortografia alternativa punkin, attestata nel 1806, da cui deriva punk, il cui significato oggi tutti conosciamo.