1: il noce (Juglans regia)
I toponimi che hanno radici nelle specie vegetali sono numerosi, e ognuno di loro nasconde storie che vale la pena di scoprire, conoscere e ricordare.
In Puglia uno per tutti è Noci, il paese di nascita di parte della mia famiglia d’origine, così chiamato proprio perché anticamente vi erano numerosi alberi di Juglans regia, il noce.
Un’antica lezione storiografica lega le origini della cittadina alla seconda metà del VI secolo quando, per volere del capitano Conone e su mandato dell’imperatore Giustino II, sulla collina dove attualmente sorge Noci, sarebbe stata eretta Castellum Nucum, il ‘castello delle noci’, una cittadella di carattere militare. La notizia trova conferma in una testimonianza del vescovo di Bisceglie, Pompeo Sarnelli, che in un documento del 1680 specifica che ‘In questo tempo il duce Tulliano […] edificò [ovvero nel 591] ne’ Monti Appennini del Castello delle Noci la Badia di Barsento de’ Monaci di S. Equizio’.
Più verosimilmente, la fondazione della città sarebbe da ascrivere ai Normanni: il primo nucleo di Noci risalirebbe, infatti, a una torre normanna poi convertita nell’attuale collegiata nocese (di essa si conserva traccia nel basamento e in una feritoia rinvenuti all’interno della torre campanaria).
Sarà poi persino l’imperatore Federico II di Svevia a nominarla S. Marie de Nocibus quando ingiungerà agli abitanti di partecipare alla manutenzione del castello di Ruvo.
Noce è dal latino nux, accusativo nucem, per cnux, cnucem, che ha perduto una c iniziale come si evince dalla forma germanica parallela (antico alto tedesco hnuz), da una radice gn = kn-, hn-, variamente ampliata in knoc-, knot-, che significa ‘tenere; tenere insieme; raggruppare’ e si ritrova nello svedese knopp, nel tedesco knoten, ‘nodo’ e knochen, ‘osso’ (cfr. nocca, nodo, nuca).Questo, perché la noce ha guscio duro e legnoso. E, del resto, si dice anche ‘noce del piede’ con riferimento all’osso che sporge all’esterno dell’estremità inferiore della gamba.
Quanto al binomiale, Juglas è dal latino jovis, che significa ‘di Giove’; e glans significa semplicemente ‘una ghianda’. Perché il frutto, considerato simile a una ghianda, era sacro al dio.
L’epiteto specifico, nigra, significa ‘nero’, in riferimento alla corteccia dell’albero.
Il noce è un albero caducifolio conosciuto in particolare per il frutto, una drupa verdastra dalla parte esterna carnosa, il mallo, che racchiude un endocarpo legnoso, che costituisce la noce vera e propria, al cui interno si trova il gheriglio.
Dal mallo si prepara il liquore tradizionale nocino, che è un P.A.T. Puglia.
Un frate cappuccino, Padre Giuseppe Ronchi, si ritirò in Puglia con il desiderio di scoprire nella Murgia, nei suoi boschi e nelle sue acque, un rimedio che potesse lenire le angosce che il vivere quotidiano porta con sé. Seguendo la tradizione monastica, per lui mente, anima e corpo erano un unicum che dava equilibrio. In Puglia trovò il modo di estrarre succhi medicamentosi e con questi estratti, nell’officina del monastero, sperimentò l’azione terapeutica per il sollievo di frati e fedeli.
La tradizione vuole che siano state mani femminili a raccogliere noci acerbe da utilizzare per la trasformazione, e che bisognava farlo a piedi nudi, danzando intorno all’albero per assicurare vitalità alla pianta e la stessa vitalità ai frutti che sarebbe stata poi ‘passata’ al liquore. Tutto questo avviene ancora oggi nella notte più breve dell’anno, quella tra 23 e 24 giugno, quando la luce vince sul buio.
Le noci vengono conservate al buio, conservando così il colore scuro dato dai tannini presenti nel mallo, e anche il profumo oltre che del frutto anche delle erbe spontanee del sottobosco (mia nonna, nocese, si raccomandava di raccogliere le noci cadute per terra, non rovinate: sarebbero state le migliori). Un altro trucco per preparare un nocino ancora più delizioso? Sostituire metà dell’acqua con cui si prepara lo sciroppo con metà di vino moscato, magari di Trani.
E per terminare secondo la tradizione, il nocino va conservato fino al 30 novembre: da quel momento si può gustare. I modi nocesi? Insieme al caffè, o caldo per i rigori invernali e proteggere dai malanni di stagione.
Ma il noce è un albero magico, infatti è il luogo di incontro delle janare, le streghe conosciute nelle credenze popolari dell’Italia meridionale, in particolare dell’area di Benevento.
Il nome sarebbe derivato da Dianara, ‘sacerdotessa di Diana’, dea romana della Luna, o dal latino ianua, ‘porta’, quella stessa che ha dato il nome a gennaio, da Ianus bifronte, momento di passaggio da un anno all’altro.
Questi legami sono persi nella notte dei tempi, a noi è rimasto solo un barlume: secondo la tradizione, le streghe si riunivano sotto un immenso noce, nella zona di Benevento, lungo le sponde del fiume Sabato (che ricorda sabba).
La janara usciva di notte, prendeva una giumenta dalla stalla e la cavalcava, come nella Caccia Selvaggia dei popoli nordici (non dimentichiamo che la Puglia ha avuto a lungo dominazione normanna e sveva).
Il noce in Puglia lo ritroviamo in un altro luogo: la gravina di Massafra, notoriamente paese dei masciari, degli stregoni, evidente proprio dai toponimi di alcuni luoghi in cui, un tempo, essi svolgevano pratiche divinatorie e magiche - si pensi al mago Greguro e alla sua grotta-farmacia -. Nella gravina, una grotta è chiamata Noce dei maghi, a testimonianza del valore che questa pianta aveva per i nostri avi, e del legame indissolubile degli alberi con delle energie che ancora oggi non riusciamo a spiegare.
Oltre al nocino, con Juglans regia possiamo preparare numerose ricette: le noci finiscono nel pane e nei dolci, ma possono anche essere trasformate in sciroppo e da questo poi farne budino o panna cotta. Se ne può fare un latte vegetale, e da questo panna, ‘formaggio’, ‘polenta’.
La corteccia, velenosa, era un tempo usata in medicina: veniva masticata per il mal di denti e se ne faceva un decotto che fungeva da emetico, per eliminare la bile e come lassativo.
Anticamente, si bruciavano i rametti e la corteccia secca e la cenere di risulta era mischiata con acqua e usata come impacco contro i morsi dei serpenti. Si usava l’infuso della corteccia interna contro il vaiolo.
Mentre una tisana con le foglie trattava la gotta e veniva usata per lavare la pelle in caso di foruncoli.
Un impiastro di foglie e guscio dei frutti era applicato per eliminare il piede d’atleta e avere sollievo dalle emorroidi.
La linfa del noce era usata esternamente come antinfiammatorio.
Dal punto di vista artigianale, il noce è stato usato per costruire case, mobili e per l’intaglio; la corteccia, le radici e i gusci dei frutti per tingere di color marrone; le foglie per tingere di verde; le noci intere per tintura per stoffe marrone e nera; le noci schiacciate mischiate al grasso per creare un repellente per gli insetti; le foglie sistemate appese ai muri per allontanare le pulci e i malli verdi per stordire i pesci e pescarli facilmente.
Una ricetta moderna per concludere prevede la fermentazione delle noci verdi intere, quando il mallo è ancora morbido, come si farebbe con le olive in salamoia. Dopo un periodo di tempo che può variare da uno a tre mesi, a seconda del sapore e di quanto sia di gradimento, si filtra il liquido che così com’è può essere usato come la salsa Worcestershire inglese.
Se invece vengono lisciviate, eliminando i tannini, diventano dolci e tritandole finché non diventano crema si ottiene una salsa a metà strada tra ketchup e maionese.
E un’idea salvatempo è quella di congelare le noci fresche (si conservano in freezer fino a due anni), e all’occorrenza tirarle fuori, congelate, tritarle velocemente per ottenere un gelato delizioso, da servire con un goccio di nocino!
I toponimi che hanno radici nelle specie vegetali sono numerosi, e ognuno di loro nasconde storie che vale la pena di scoprire, conoscere e ricordare.
In Puglia uno per tutti è Noci, il paese di nascita di parte della mia famiglia d’origine, così chiamato proprio perché anticamente vi erano numerosi alberi di Juglans regia, il noce.
Un’antica lezione storiografica lega le origini della cittadina alla seconda metà del VI secolo quando, per volere del capitano Conone e su mandato dell’imperatore Giustino II, sulla collina dove attualmente sorge Noci, sarebbe stata eretta Castellum Nucum, il ‘castello delle noci’, una cittadella di carattere militare. La notizia trova conferma in una testimonianza del vescovo di Bisceglie, Pompeo Sarnelli, che in un documento del 1680 specifica che ‘In questo tempo il duce Tulliano […] edificò [ovvero nel 591] ne’ Monti Appennini del Castello delle Noci la Badia di Barsento de’ Monaci di S. Equizio’.
Più verosimilmente, la fondazione della città sarebbe da ascrivere ai Normanni: il primo nucleo di Noci risalirebbe, infatti, a una torre normanna poi convertita nell’attuale collegiata nocese (di essa si conserva traccia nel basamento e in una feritoia rinvenuti all’interno della torre campanaria).
Sarà poi persino l’imperatore Federico II di Svevia a nominarla S. Marie de Nocibus quando ingiungerà agli abitanti di partecipare alla manutenzione del castello di Ruvo.
Noce è dal latino nux, accusativo nucem, per cnux, cnucem, che ha perduto una c iniziale come si evince dalla forma germanica parallela (antico alto tedesco hnuz), da una radice gn = kn-, hn-, variamente ampliata in knoc-, knot-, che significa ‘tenere; tenere insieme; raggruppare’ e si ritrova nello svedese knopp, nel tedesco knoten, ‘nodo’ e knochen, ‘osso’ (cfr. nocca, nodo, nuca).Questo, perché la noce ha guscio duro e legnoso. E, del resto, si dice anche ‘noce del piede’ con riferimento all’osso che sporge all’esterno dell’estremità inferiore della gamba.
Quanto al binomiale, Juglas è dal latino jovis, che significa ‘di Giove’; e glans significa semplicemente ‘una ghianda’. Perché il frutto, considerato simile a una ghianda, era sacro al dio.
L’epiteto specifico, nigra, significa ‘nero’, in riferimento alla corteccia dell’albero.
Il noce è un albero caducifolio conosciuto in particolare per il frutto, una drupa verdastra dalla parte esterna carnosa, il mallo, che racchiude un endocarpo legnoso, che costituisce la noce vera e propria, al cui interno si trova il gheriglio.
Dal mallo si prepara il liquore tradizionale nocino, che è un P.A.T. Puglia.
Un frate cappuccino, Padre Giuseppe Ronchi, si ritirò in Puglia con il desiderio di scoprire nella Murgia, nei suoi boschi e nelle sue acque, un rimedio che potesse lenire le angosce che il vivere quotidiano porta con sé. Seguendo la tradizione monastica, per lui mente, anima e corpo erano un unicum che dava equilibrio. In Puglia trovò il modo di estrarre succhi medicamentosi e con questi estratti, nell’officina del monastero, sperimentò l’azione terapeutica per il sollievo di frati e fedeli.
La tradizione vuole che siano state mani femminili a raccogliere noci acerbe da utilizzare per la trasformazione, e che bisognava farlo a piedi nudi, danzando intorno all’albero per assicurare vitalità alla pianta e la stessa vitalità ai frutti che sarebbe stata poi ‘passata’ al liquore. Tutto questo avviene ancora oggi nella notte più breve dell’anno, quella tra 23 e 24 giugno, quando la luce vince sul buio.
Le noci vengono conservate al buio, conservando così il colore scuro dato dai tannini presenti nel mallo, e anche il profumo oltre che del frutto anche delle erbe spontanee del sottobosco (mia nonna, nocese, si raccomandava di raccogliere le noci cadute per terra, non rovinate: sarebbero state le migliori). Un altro trucco per preparare un nocino ancora più delizioso? Sostituire metà dell’acqua con cui si prepara lo sciroppo con metà di vino moscato, magari di Trani.
E per terminare secondo la tradizione, il nocino va conservato fino al 30 novembre: da quel momento si può gustare. I modi nocesi? Insieme al caffè, o caldo per i rigori invernali e proteggere dai malanni di stagione.
Ma il noce è un albero magico, infatti è il luogo di incontro delle janare, le streghe conosciute nelle credenze popolari dell’Italia meridionale, in particolare dell’area di Benevento.
Il nome sarebbe derivato da Dianara, ‘sacerdotessa di Diana’, dea romana della Luna, o dal latino ianua, ‘porta’, quella stessa che ha dato il nome a gennaio, da Ianus bifronte, momento di passaggio da un anno all’altro.
Questi legami sono persi nella notte dei tempi, a noi è rimasto solo un barlume: secondo la tradizione, le streghe si riunivano sotto un immenso noce, nella zona di Benevento, lungo le sponde del fiume Sabato (che ricorda sabba).
La janara usciva di notte, prendeva una giumenta dalla stalla e la cavalcava, come nella Caccia Selvaggia dei popoli nordici (non dimentichiamo che la Puglia ha avuto a lungo dominazione normanna e sveva).
Il noce in Puglia lo ritroviamo in un altro luogo: la gravina di Massafra, notoriamente paese dei masciari, degli stregoni, evidente proprio dai toponimi di alcuni luoghi in cui, un tempo, essi svolgevano pratiche divinatorie e magiche - si pensi al mago Greguro e alla sua grotta-farmacia -. Nella gravina, una grotta è chiamata Noce dei maghi, a testimonianza del valore che questa pianta aveva per i nostri avi, e del legame indissolubile degli alberi con delle energie che ancora oggi non riusciamo a spiegare.
Oltre al nocino, con Juglans regia possiamo preparare numerose ricette: le noci finiscono nel pane e nei dolci, ma possono anche essere trasformate in sciroppo e da questo poi farne budino o panna cotta. Se ne può fare un latte vegetale, e da questo panna, ‘formaggio’, ‘polenta’.
La corteccia, velenosa, era un tempo usata in medicina: veniva masticata per il mal di denti e se ne faceva un decotto che fungeva da emetico, per eliminare la bile e come lassativo.
Anticamente, si bruciavano i rametti e la corteccia secca e la cenere di risulta era mischiata con acqua e usata come impacco contro i morsi dei serpenti. Si usava l’infuso della corteccia interna contro il vaiolo.
Mentre una tisana con le foglie trattava la gotta e veniva usata per lavare la pelle in caso di foruncoli.
Un impiastro di foglie e guscio dei frutti era applicato per eliminare il piede d’atleta e avere sollievo dalle emorroidi.
La linfa del noce era usata esternamente come antinfiammatorio.
Dal punto di vista artigianale, il noce è stato usato per costruire case, mobili e per l’intaglio; la corteccia, le radici e i gusci dei frutti per tingere di color marrone; le foglie per tingere di verde; le noci intere per tintura per stoffe marrone e nera; le noci schiacciate mischiate al grasso per creare un repellente per gli insetti; le foglie sistemate appese ai muri per allontanare le pulci e i malli verdi per stordire i pesci e pescarli facilmente.
Una ricetta moderna per concludere prevede la fermentazione delle noci verdi intere, quando il mallo è ancora morbido, come si farebbe con le olive in salamoia. Dopo un periodo di tempo che può variare da uno a tre mesi, a seconda del sapore e di quanto sia di gradimento, si filtra il liquido che così com’è può essere usato come la salsa Worcestershire inglese.
Se invece vengono lisciviate, eliminando i tannini, diventano dolci e tritandole finché non diventano crema si ottiene una salsa a metà strada tra ketchup e maionese.
E un’idea salvatempo è quella di congelare le noci fresche (si conservano in freezer fino a due anni), e all’occorrenza tirarle fuori, congelate, tritarle velocemente per ottenere un gelato delizioso, da servire con un goccio di nocino!
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